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Bernadette McDonald: 20 anni di BMFF e non solo…

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ALPINE WARRIORS (1)

ALPINE WARRIORS (1)   Bernadette McDonald ha diretto per 20 anni il Banff Mountain Film Festival e ha fondato a Banff il Centro per la Cultura di Montagna. Ha scritto diversi libri legati alla montagna e, dal 2006, ha lasciato il suo importante incarico a Banff per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Tra i suoi libri ricordiamo Volevamo solo scalare il cielo – edito in Italia da Versante Sud e dedicato alla storia di un gruppo di scalatori polacchi destinati a diventare tra i più forti scalatori himalayani  – e Tomaž Humar. Prigioniero del ghiaccio, dedicato all'alpinista sloveno definito da Messner “il più incredibile alpinista della sua generazione”. Alla vigilia del tour Italiano 2016, vi proponiamo l'intervista che le abbiamo fatto a Banff. Qual è l’eredità più grande che ti ha lasciato l’aver diretto per 20 anni il BMFF? Dopo essere stata direttore del BMFF per 20 anni, la cosa più importante che porto con me è la gratitudine. La vita è strana e non si sa mai bene dove si va a finire, quindi mi ha sempre stupito il fatto che le circostanze mi avessero portata a Banff proprio nel momento in cui c’era bisogno di una figura dirigenziale all’interno del festival. Mi sono trovata letteralmente nel posto giusto al momento giusto e ho colto l’opportunità che mi si presentava. La mia gratitudine è innanzi tutto per il team dei miei colleghi. L’ho sempre chiamato dream-team e non era uno scherzo. Era un gruppo di persone incredibilmente motivate, capaci, divertenti e con tanta voglia di fare: mi sento davvero onorata ad aver passato tutti questi anni insieme a loro. In secondo luogo, mi sento grata per l’opportunità che ho avuto di incontrare così tante meravigliose persone appassionate di montagna da tutto il mondo. Posso dire senza timore che potrei andare su qualsiasi catena montuosa del nostro pianeta e avere qualche amico che ci vive! È una grande fortuna! E infine sono senza dubbio grata alla top leadership del Banff Centre, che mi ha lasciato la massima libertà per tutto il tempo che ho passato qui, nello sviluppare la mia idea di Festival e il Centro per la Cultura di Montagna. Ho avuto così tanta libertà che il tutto avrebbe potuto essere un disastro, ma così non è stato. Che impatto ha avuto il World Tour sull’evoluzione del festival qui a Banff? Il tour mondiale ha trasformato profondamente il festival qui a Banff perché ci ha permesso di sviluppare una strategia economica del tutto nuova. Volevamo che il festival avesse rilevanza mondiale, ma questo richiedeva un supporto finanziario. Il modello economico in Canada è diverso rispetto a quello europeo e non potevamo attingere a finanziamenti regionali, comunali o provinciali che fossero significativi. Dovevamo fare qualcosa di diverso e il tour è stato lo strumento che ci ha permesso di offrire ai nostri sponsor qualcosa di veramente grande. In questo modo abbiamo costruito la nostra presenza in tutto il mondo e i nostri sponsor sono cresciuti con noi. Hai un suggerimento da darci per il tour italiano? Il tour in Italia sta crescendo in maniera virtuosa e sostenibile dal mio punto di vista, l’unico suggerimento che mi sento di dare è che lo spirito del tour sia sempre fedele alle sue radici e mantenga fermo l’alto livello qualitativo. Credo si possa pensare di crescere solo a patto di non scendere a compromessi su questi due punti. Hai iniziato a lavorare al BMFF come volontaria, che cosa pensi di questa esperienza di volontariato che accomuna tanti ragazzi che collaborano al tour in tutto il mondo? Il volontariato è uno splendido modo per una persona giovane per vedere se una realtà gli offre il tipo di lavoro che gli piace e il tipo di ambiente in cui vorrebbe lavorare. Allo stesso modo, offre all’organizzazione un’opportunità unica di capire se la persona ha quello che serve per far parte del team. Ho iniziato come volontaria e ho subito capito che era il posto giusto per me. Il primo anno ho dato il massimo e nessuno ha avuto mai dubbi sul mio impegno al festival. Come scegli le storie da raccontare nei tuoi libri? I miei libri raccontano di personaggi di montagna che mi interessano. Per la maggior parte si tratta di scalatori ma non mi limito a questi. Tutti loro sono alle prese con la stessa domanda che sta al fondo dell’esistenza di tutti e le loro esperienze e la forza del loro carattere creano grandi storie in cui entrano in gioco diversi elementi: le passioni, la forza d’animo e l’onestà, per esempio. Le storie corali che ho raccontato più di recente riguardano le comunità di scalatori in Polonia e Slovenia, che non sono molto conosciute in Nord America. E mi sconvolgeva questo fatto perché sapevo che si trattava di storie incredibili. Ho quindi sentito la necessità di raccontarle e di far conoscere al maggior numero possibile di persone che alpinismo straordinario praticassero. Che cosa ti attrae di più degli alpinisti? Gli aspetti che mi attraggono di più di chi va in montagna sono la passione, l’auto disciplina, l’approccio creativo alla vita, l’onestà, la forza e la resistenza. E se sono fortunata, trovo anche personaggi che siano gentili. Gentili con le loro famiglie, con i loro amici e anche con i loro compagni di cordata. Come mai ti sei interessata in particolare all’alpinismo dell’Europa dell’Est? Il mio interesse per gli alpinisti dell’Est Europa ha a che fare con la loro scarsa presenza nella letteratura di montagna. Abbiamo centinaia di libri sugli alpinisti Inglesi, per esempio, ma pochissimi sui Polacchi. E solo uno sugli Sloveni. Questi alpinisti erano i migliori del mondo e quasi nessuno lo sapeva. Sono storie anche molto drammatiche, inevitabilmente legate anche ai tragici e violenti scenari politici in cui si svolsero. Qual è il tuo posto preferito in Italia? Amo l’Italia così tanto che ho cercato di convincere mio marito a trasferirci, dopo che entrambi abbiamo concluso il nostro percorso di lavoratori a tempo pieno. Non ce l’ho fatta, ma ho trovato un angolo di British Columbia dove riusciamo a coltivare un vigneto – proprio come in Italia! In Italia i miei posti preferiti sono quelli in cui si arrampica: la Sardegna, le Dolomiti, la Sicilia. Ho arrampicato in tutti questi posti come anche ad Arco di Trento, a Sperlonga, a sud di Roma, a Finale e a nord di Torino. Credo che tra tutti il mio preferito sia la Sardegna, ma forse no, forse le Dolomiti. Ma è troppo difficile scegliere! Amo molto anche Trento. Ci ho passato così tanto tempo che mi sento praticamente a casa. Qual è stato il personaggio più difficile da raccontare? Credo che fino ad ora il personaggio più difficile sia stato Tomaž Humar. Era ancora così giovane quando ho scritto la sua biografia che tutti pensavamo fosse nel pieno della sua carriera. È diverso scrivere di qualcuno che ti racconta la sua storia quando pensi che abbia ancora così tanto da fare. Purtroppo ci sbagliavamo, ma tutto questo ha reso più difficile la scrittura.

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