![]()
[caption id="attachment_24206" align="aligncenter" width="900"]
![mexico-paraglide-11]()
Photo by Taylor Keating[/caption]
C’è chi dice che Cedar Wright sia un amante della bella vita, un narratore, un genio poetico…ma è anche molto di più! Alcuni lo conoscono come un climber “dirtbag” con una strana passione per la sofferenza, ma la verità è che Cedar Wright è un uomo che sta stretto nella gabbia delle definizioni. Un film maker, un musicista, un climber professionista, un uomo che ama stare con la gente. Lo abbiamo visto in “Sufferfest 2” arrampicare e pedalare insieme aD Alex Honnold nel deserto del Sud Ovest americano, mentre nel suo ultimo lavoro, “The Fledglings”, è alle prese con un nuovo sport che lo sta appassionando moltissimo: il parapendio! Lo abbiamo incontrato a Banff per farci raccontare di questa nuova esperienza e non solo…
Ti abbiamo visto sui nostri schermi due anni fa in Italia con Sufferfest insieme ad Alex Honnold. Oggi sei qui con un nuovo film in cui pratichi un nuovo sport con un nuovo compagno di avventure
Sì, ho litigato con Alex Honnold e non ci parliamo più … no, non è vero (ride)! Siamo ancora amici, ma circa 4 anni fa, qui a Banff ho visto un film in cu due donne australiane raggiungevano una cima e scendevano utilizzando il parapendio e… mi è sembrato bellissimo, mi si è accesa una scintilla negli occhi e ho pensato che un giorno o l’altro lo avrei voluto fare anche io. Molti miei amici fanno base jumping, ma alcuni di loro purtroppo sono morti. Trovo che scendere volando a quella velocità sia un’attività affascinante ma anche troppo pericolosa, mentre il parapendio è sicuramente meno pericoloso del base Jumping, e per quanto non completamente sicuro, mi è sembrato un rischio accettabile. Così, un anno fa, con il mio amico Matt Segal sono andato in California per prendere lezioni, perché eravamo ben lontani dall’essere professionisti… A dire il vero, all’inizio non avevamo idea di come fare ed è stato veramente faticoso, era difficile e frustrante. Ci sono molto cose da imparare, non solo legate alla tecnica ma anche alle condizioni meteo, per esempio, ed è tutto molto complesso. Bisogna capire quando è sicuro volare, quando non lo è, ed è importante prendere le decisioni giuste. Ci sono così tante cose nuove da imparare e posso dire che si tratta di qualcosa che mi ha catturato completamente esattamente come è successo con l’arrampicata, mi ha ossessionato alla stesso modo. In quel periodo il parapendio aveva la priorità su tutto, doveva passare da principiante a intermedio… ecco, credo di essere a un livello intermedio adesso.
E Alex Honnold non fa parapendio?
Alex no, quando gliene parlo dice che è troppo pericoloso. Invece il free solo sulle big wall non è pericoloso!
E quindi non arrampicate più insieme?
Non c’è problema, lui arrampica benissimo anche da solo (ride)! Ma arrampicheremo insieme prossimo inverno in Kenia, al monte Kenia e su altre big wall in Africa. Non vedo l’ora di partire, perché sono curiosissimo di conoscere le persone, la cultura di quel Paese, non vedo l’ora e anche Alex è felice di questo viaggio.
Tornando al film, da dove viene il titolo?
In inglese i “fledglings” sono gli uccellini giovani, appena usciti dal nido. Così nella sequenza dei titoli di apertura del film, ci siamo io Matt che veniamo sbattuti fuori dal nido… rende l’idea dei giovani che devono imparare a volare!
Se paragoni l’arrampicata al parapendio, che cosa ti piace di più?
L’arrampicata è un’attività molto statica e molto atletica. Puoi tornare a fare una via dopo 20 anni e rimane la stessa, mentre facendo parapendio, puoi lanciarti dalla stessa collina tutti i giorni e ogni giorno troverai qualcosa di molto diverso, perché tutto è in movimento. Quando arrampichi puoi vedere la roccia, puoi vedere la difficoltà, mentre non puoi mai vedere l’aria. È una sfida invisibile che si gioca sull’intuito e su una sensibilità all’ambiente che devi coltivare. Si tratta di due cose molto diverse. Qui è molto importante saper reagire sul momento e questo mi piace moltissimo. Con l’arrampicata entrano in gioco sensi diversi, puoi toccare la roccia, per esempio mentre qui, puoi sentire tutto quello che viene dal basso e sono tantissimi gli odori che puoi distinguere. Anche i rumori si ascoltano in modo diverso, è un’esperienza difficile da descrivere, e una volta che la vivi diventa una specie di droga, ancora di più dell’arrampicata, perché nell’arrampicata la roccia è sempre lì e puoi tornare a misurarti con te stesso quando vuoi. Potrei dire che l’arrampicata è più gratificante ma il parapendio dà più dipendenza. Con il parapendio non sai mai quale sarà il giorno perfetto, ma quando si verifica è davvero incredibile, regala un livello di consapevolezza superiore e sensazioni incredibili che non vedi l’ora di riprovare.
In uno dei tuoi contributi per “Climbing” parli di stile nell’arrampicata, esiste qualcosa di simile allo stile nel parapendio?
Per me avere un buono stile significa essere creativi, ovvero non limitarsi a vedere quanto lontano si può arrivare ma capire dove si vuole arrivare, scegliere una linea tra le montagne, fare lunghe traversate. Recentemente, Antoine Gerard, che è un esempio di paraglider davvero stimolante, ha raggiunto il record di altezza volando sopra il Broad Peak. Credo che questo sia uno dei più grandi risultati mai raggiunti nella storia dell’umanità, se si pensa al livello di impegno, di capacità, di esperienza e di creatività che richiede un obiettivo del genere.
Qual è il tuo obiettivo in questa disciplina?
Il mio sogno è di riuscire a volare sopra le Torri di Trango, ma soprattutto quello che mi interessa è trovare una nuova idea, qualcosa che non ha fatto ancora nessuno, pensare a un uso del parapendio durante l’arrampicata, come uno strumento di discesa, legandolo così alle avventure di montagna, anche come alternativa più ecologica rispetto all’elicottero per accedere alle vette. È un pensiero soltanto per adesso, perché ho avuto anche qualche momento non facile con il parapendio, quindi credo che se ne parlerà tra qualche anno.
Che differenza c’è nel rapporto con il rischio nell’arrampicata e con il parapendio?
Come arrampicatore ho l’abitudine di valutare il rischio ed esaminarlo per cercare di minimizzarlo, e queste doti sono importanti anche nel parapendio. Ma poiché in tutti questi anni penso di aver raggiunto una buona padronanza dell’arrampicata, in questa disciplina posso anche pensare di osare un po’ di più. Con il parapendio, invece, devo essere umile, non fare le cose troppo velocemente perché le situazioni possono volgere al peggio molto in fretta e ci sono molte cose che ancora non conosco. È facile, per esempio, volare oltre una cresta e mentre un secondo prima tutto va bene, un secondo dopo ci si trova nel pieno di una turbolenza che può far perdere il controllo. Oppure capita di entrare in una valle ed essere respinto dal vento improvvisamente, senza alcun preavviso...
Anche il senso del limite che sviluppi con questa disciplina è diverso rispetto all’arrampicata?
Se vuoi spostare il tuo limite, devi maturare in termini di esperienza e questo è valido per entrambe le discipline. Per fare dei progressi, bisogna uscire dalla propria zona di comfort, ma è essenziale andare per gradi e bisogna essere molto cauti perché gli incidenti con il parapendio possono essere davvero terribili.
Come ci si sente quando conosci così bene qual è il tuo limite in uno sport, dover ricominciare a costruirlo con un altro?
È una domanda interessante, perché praticando l’arrampicata da circa 20 anni mi considero un esperto, mentre iniziando a fare parapendio sono tornato a essere un principiante, con moltissime cose da imparare. Può essere frustrante, ma al tempo stesso anche molto motivante. Arrampicando da 20 anni, posso comunque pensare di vivere nuove avventure, ma onestamente non so quanto potrò davvero ancora migliorare, mentre con il parapendio, naturalmente, il margine di miglioramento è più ampio. Non si tratta però solo di una sfida psicologica o intellettuale, bisogna davvero imparare molte cose sull’ambiente, sulla tecnica e serve impegno e coraggio per buttarsi in qualcosa di così nuovo. Penso sia uno sport dove si possa ancora migliorare, anche si ti avvii verso i 50 anni. Non puoi piantar chiodi in cielo. Non puoi fare come quando arrampichi, quando se il tiro è troppo difficile ti puoi proteggere. Non puoi rendere il cielo più facile, devi prenderlo così, nella sua pura bellezza. Nel parapendio si crea un rapporto diretto tra te e l’ambiente ed è una dimensione in cui sei da solo con te stesso, non c’è team, non c’è socio e non ci sono nemmeno – almeno negli Stati Uniti - tantissime persone che capiscono questo sport, perché di fatto non c’è gloria legata a quest’attività. In Europa è più popolare e più praticato, ma è uno sport molto compless
o…
Come si raggiunge l’equilibrio tra lo spingere i propri limiti e arginare il più possibile il rischio?
Molti miei amici sono morti in montagna facendo base jumping e naturalmente non voglio finire allo stesso modo. Eppure amo l’avventura, amo andare incontro a ciò che è sconosciuto e, inevitabilmente, se si ama tutto questo bisogna affrontare un minimo di rischio. È un equilibrio difficile da trovare, ma credo che la cosa più importante sia avere un elevato livello di consapevolezza e di onestà verso noi stessi in merito ai rischi che decidiamo di assumerci, perché se cerchiamo di nascondere il pericolo, o di convincerci che non esiste, ne aumentiamo decisamente il livello. Il punto è che, a volte, bisogna semplicemente dire di no di fronte a un’impresa e questo può essere molto difficile. Con il parapendio mi è accaduto di non voler volare in determinate condizioni, di sentire di non avere l’esperienza per muovermi con quel tipo di vento. Sulla roccia è diverso perché so di avere l’esperienza e la capacità di affrontare un certo tipo di difficoltà e le probabilità di un incidente sono basse, ma magari non per tutti è così, e quindi credo che la cosa più importante sia essere onesti con se stessi. Io cerco di essere onesto e umile ma quando c’è di mezzo l’avventura, la cosa più difficile a volte è semplicemente decidersi ad andare.
Arrampicare ha molto a che fare con la concentrazione, come raggiungi il livello di “mindfulness” necessario per arrampicare a così alti livelli?
Credo che lo si sviluppi nello stesso modo in cui si sviluppano le altre abilità, e cioè con la pratica. Ci si mette in situazioni al di fuori della zona di comfort e, man mano, la zona di comfort si allarga. È come quando ci si allena fisicamente, man mano le cose diventano meno difficili perché si guadagna più margine. E penso che serva un alto livello di consapevolezza, non solo di conoscenza dell’ambiente circostante, ma anche di se stessi, ed è bene mettersi alla prova un pochino ogni giorno. Credo anche che esercizi di respirazione profonda, meditazione e rilassamento siano utili per imparare a essere presenti a se stessi, per capire le proprie emozioni, i propri pensieri e i propri obiettivi, per restare concentrati sui movimenti. Quando arrampichi, tutti i tuoi problemi smettono di esistere, sei solo sulla roccia e sei solo in quel preciso momento. Tutto questo è qualcosa che l’arrampicata mi ha insegnato a mettere in pratica anche nella vita normale: essere presente a quello che faccio, essere più attento alle persone che mi circondano e alle emozioni che sento, alle reazioni che ho nei confronti delle persone e tutto questo mi permette di diventare una persona più felice.
Qual è il confine tra la libertà che una passione ti offre e la dipendenza da essa?
Credo che ci sia una linea molto sottile e a volte sia difficile dirlo. Credo che la differenza dipenda da quanto una persona abbia una vita felice, delle relazioni che riesce a instaurare e dal fatto di essere alla fine consapevole della propria dipendenza, senza perdere mai il controllo. Bisogna anche sapere quando dire no, capire se si ha bisogno di una pausa o se qualcosa è semplicemente troppo pericoloso. La nostra società è generalmente avversa al rischio, la maggior parte della gente pensa che si debba diventare vecchi standotene sul divano, io credo invece che preferirei morire piuttosto che vivere una vita senza esperienze estreme… bisogna trovare un equilibrio tra quelle che sono le tue capacità e quanto sei disposto a metterle alla prova.
Scrittore, giornalista, regista… hai mai pensato di scrivere un libro?
Sono uno scrittore e ho una rubrica mensile su Climbing Magazine. Mi è sempre piaciuto scrivere e, prima di diventare un climber professionista, la scrittura era soprattutto un modo per farmi conoscere. Scrivere, però, mi piace anche adesso, mi piace avere un modo di far sentire la mia voce nella mia community dei climber che frequento, per cercare di stimolare le persone, per raccontare storie e condividere quello che faccio, perché amo molto quello che faccio. Credo che sia presto per un libro, anche se Alex (
Honnold ndr) l’ha già scritto… potrei pensare di raccogliere quello che ho scritto fino a ora, vedremo, vedremo che cosa riserverà il futuro. Al momento sono molto occupato su un progetto, un lavoro che sarà pronto il prossimo anno. Non parliamo di me questa volta, racconterò di un amico, un climber free solo poco noto, ed è un modo per dare visibilità alla vita di una persona che arrampica ai livelli di un professionista, ma senza alcun tipo di sponsor, perché nessuno lo conosce. Sono tanti i progetti per il futuro, scrivere un libro, volare sulle Trango Towers, combinare l’arrampicata con il parapendio… questo soprattutto, perché è una cosa davvero stupefacente. Fai tanta salita e poi in cinque minuti sei alla macchina, mi piace moltissimo questa cosa.
Che cosa rappresenta per te la Yosemite Valley?
Yosemite per me è stato il college, è il luogo dove sono nato come climber, dove ho fatto le prime ascensioni, dove sono diventato un uomo. È la mia chiesa e la mia casa, è un luogo dove vorrò sempre tornare. uno dei più belli al mondo, è un posto davvero speciale per chi arrampica, e non sarei qui senza Yosemite, è il luogo che mi ha regalato la storia e l’esperienza per diventare quello che sono.
Sei davvero l’ultimo dei dirtbag?
Beh, anche se non vivo più in un furgone – ma ce l’ho ancora e ogni tanto lo uso - ho uno stile di vita molto sobrio e frugale, anche se posso permettermi un parapendio (ride). Ho scritto di recente un articolo su questo tema, in cui dicevo che la cultura americana sta cambiando, sta diventando sempre più materialista e in luoghi come Yosemite c’è sempre più controllo da parte dei Rangers
( per impedire il campeggio libero, ndr) e il dirtbagging sta morendo. In realtà sapevo che molta gente ancora lo pratica, ma volevo sentire le loro voci. Volevo sentire che c’è ancora gente capace di dire che non importa solo quello che convenzionalmente chiamiamo successo, avere un lavoro prestigioso, guadagnare dei soldi. Volevo sentire che c’è gente capace di seguire un sogno e magari di abbandonare il proprio lavoro, se il sogno è di scalare El Cap. Bisogna fare queste cose perché la vita è breve e quando ti guardi indietro, questo tipo di esperienze avrà più valore di quello che c’è scritto sul tuo biglietto da visita.