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Denis Urubko: non c’è più niente da esplorare. O forse no.

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denis_urubko_30_chooyu2009_du_1280 Denis Urubko non ha bisogno di presentazioni, ma ripercorrere la sua carriera fa una certa impressione: è il nono salitore dei quattordici Ottomila senza l’aiuto dell’ossigeno, e ha al suo attivo due prime invernali: il Makalu e il Gasherbrum II insieme a Simone Moro, senza contare l’aperture di nuove vie su tre Ottomila e le altre ascese, in Russia – dove in 42 giorni sale i cinque Settemila – e sulle Alpi. Italiano d’adozione, oggi Denis Urubko vive a Nembro. Ha scritto due libri “Eccesso di Montagna” e “Colpevole d’Alpinismo” e noi l’abbiamo incontrato a Banff per una piacevole chiacchierata 1) Hai arrampicato le più alte montagne di tutto il mondo, ma ch cosa ci racconti delle Montagne Rocciose? È la prima volta che le vedi? Sì, è la prima volta che vengo qui e purtroppo riuscirò a fermarmi solo pochi giorni. È un peccato, perché avrei voluto esplorare di più: il parco, le montagne... C’è un calcare molto interessante, scivoloso, più duro rispetto a quello che abbiamo in Italia; ci sono pareti non strapiombanti ma comunque molto difficili, sui 70, 75 gradi, decisamente impegnative. Abbiamo scalato ieri con Bernadette McDonald, suo marito, Catherine Destivelle e Gabriela Kuch. Il marito di Bernadette è stato per tantissimi anni un ranger qui, nel parco Nazionale di Banff e mi ha spiegato moltissime cose interessanti sulla fauna selvatica, sugli orsi… un’esperienza davvero interessante 2)  Quale pensi che sia la tua qualità più grande, come alpinista? Credo che la mia più grande dote sia quella di cercare e immaginare soluzioni innovative ai problemi che mi si presentano, soluzioni a cui altri non hanno ancora pensato, credo si tratti della mia capacità di pensare di poter sempre trovare un’altra direzione, una soluzione ai problemi che sia solo mia e non di altri. Nella mia vita ho cambiato tante volte Paese, ma sempre con l’idea di restare vicino alle montagne, per viverle e per raccontarle, attraverso le immagini e la scrittura. Mi piace leggere i grandi scrittori di montagna, Chris Bonington, Lynn Hill per esempio, per capire per prendere ispirazione, per capire quale possa essere il contributo di una persona alla storia dell’alpinismo e in qualche modo per trovare uno spazio, in questa fantastica storia che possa essere il mio. 3) Tempo fa hai detto che una cosa che hai dovuto imparare in spedizione è a essere paziente. Vuoi approfondire questo punto? Quello che succede durante una spedizione è che si è sempre un po’ sotto pressione, si vorrebbe iniziare subito a scalare anche perché gli sponsor, la famiglia, il tuo team, tutti in qualche modo si aspettano qualcosa da te. Ma soprattutto nelle spedizioni invernali, bisogna saper aspettare, saper cogliere il momento giusto. Simone è più bravo di me in questo, perché ha più esperienza. Siamo una bella squadra, perché ognuno ha i propri punti di forza e insieme riusciamo a combinarli ed essere più forti che da soli. Quando eravamo al campo base del Makalu, io avevo una certa fretta di iniziare a scalare, ma Simone mi ripeteva sempre: “aspettiamo, aspettiamo”. E siccome provengo dall’esercito e sono abituato a obbedire, non ho mai discusso quello che decideva il leader della spedizione. Quando alla fine Simone ha deciso, siamo partiti e abbiamo raggiunto la cima. Credo che questo successo sia proprio merito della sua capacità di aspettare. Poi, nella vita normale, Simone non è una persona che agisce con lentezza, tutt’altro, penso che in realtà agisca con una velocità doppia rispetto alla mia, ma in spedizione è tutto diverso, ci sono tante variabili da considerare per arrivare al successo. 4) Denis, tu hai scalato tutti i 14 ottomila e hai una lunga storia in Himalaya, che significato ha per te l’avventura? L’avventura… sì questa è una domanda facile (ride) . Credo che l’avventura si possa riassumere nell’immagine di muovere un passo verso una condizione che è al di fuori della nostra zona di comfort, significa affacciarsi a una dimensione che non ci è nota, che può anche essere pericolosa. L’avventura è qualcosa che percepiamo e che viviamo come difficile e che in qualche modo va oltre il nostro limite, lo sposta avanti. Non si tratta necessariamente di andare in Himalaya, e a ben vedere nemmeno di salire in montagna, in ogni momento della vita possiamo vivere un’avventura, ogni giorno, anche nei momenti apparentemente più insignificanti. 5) Quali sono le risorse della tua personalità a cui attingi e che ti sono più utili quando sei in spedizione? La resistenza è probabilmente la qualità del mio carattere che mi permette di fare quello che faccio. Nell vita sono una persona nervosa e impaziente, ma anche dotata di grande resistenza, una caratteristica che è essenziale per tante situazioni, in alta quota e non solo. Al di là del mio carattere e delle mie risorse personali, devo dire però che sono anche stato fortunato in passato, perché nei momenti di maggiore difficoltà le persone attorno a me mi hanno molto aiutato, e sia nell’esercito che nel gruppo alpinistico ho avuto buoni insegnanti. Ho anche fatto degli errori, come tutti, e questo mi è successo soprattutto quando non ho rispettato le regole. Sono stato travolto da una valanga, mi sono rotto le gambe, tutto questo mi ha fatto perdere molto tempo e anche diverse opportunità di partecipare a spedizioni interessanti, ma senza dubbio mi è servito da lezione, da questi errori ho imparato molto. 6) In un’intervista sulla spedizione invernale al K2 hai detto che non c’è più niente da esplorare, è proprio così? In qualche modo è così, perché oggi è quasi tutto tracciato, ci sono satelliti che possono fotografare qualsiasi luogo. Quello che dobbiamo esplorare, invece, sono le nostre modalità di fare alpinismo. Una spedizione invernale ti mette di fronte alla necessità di cercare nuove soluzioni di salita, perché quello che succede di solito, per esempio con il K2, è che si arriva sotto la montagna e si lavora sulle classiche vie di salita da Nord o da Sud, ma senza grandi risultati. Io, per esempio, due anni fa avrei voluto salire da Est. Si tratta di una via nuova che in estate è più difficile per la grande quantità di neve che si deposita, ma che in inverno rimane più protetta dal vento, che di solito giunge da Ovest. È un tipo di esplorazione diverso, che mette alla prova mentalità e capacità di trovare soluzioni alternative a problemi noti. 7) Ti sei trasferito da poco a Nembro con tutta la famiglia, sei felice di questa scelta? Molto, sono molto felice, perché il mio sogno è sempre stato quello di vivere in montagna, circondato dagli amici, e ho trovato questa dimensione ideale proprio in Val Seriana. Abito in una casa molto vicino a Mario Curnis e di fronte a lui mi sento come… un topolino in chiesa! Qui ho la possibilità di uscire di casa e iniziare subito i miei allenamenti, con montagne anche alte, proprio dietro casa. In Italia poi le persone sono più aperte e anche nel campo dell’alpinismo ho trovato molti amici che mi hanno aiutato senza chiedere nulla in cambio, in maniera del tutto disinteressata. 8) Qual è il messaggio che vuoi inviare al pubblico del BMFF in Italia? A chi assisterà alle proiezioni quest’anno dico che ognuno dovrebbe fare la sua parte per scrivere una pagina - anche piccola - della storia dell’alpinismo e dell’outdoor, ognuno a seconda delle proprie possibilità, delle proprie esperienze. La cosa importante è non restare fermi. Andare, fare esplorare.

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