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DIVENTARE AMICI DELLA PAURA: PAUL PRITCHARD E IL TOTEM POLE

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  Il Totem Pole è un obelisco roccioso collocato a pochi metri dalle coste dell’isola di Tasmania, alla confluenza di due bracci di mare. Un luogo di difficile accesso che, nel 1998, fu teatro di un gravissimo incidente. Il giovane alpinista Paul Pritchard fu infatti colpito da un grosso masso staccatosi dalla sommità del pilastro e cadde in mare. Riuscì a tenersi galla e la sua compagna di scalata Celia Bull riuscì a salvarlo e a chiamare i soccorsi percorrendo di corsa gli o km che la separavano dal primo posto di chiamata. L’incidente lasciò Paul con un’emiparesi sul lato destro del corpo, ma non scalfì il suo spirito di esploratore e di alpinista, oggi vivo più che mai, alla ricerca di sempre nuove avventure e di nuovi modi di mettersi alla prova. Dopo 18 anni dallo spaventoso incidente, Pritchard decide di tornare al Totem Pole per scalarlo di nuovo, con una nuova tecnica studiata appositamente per permettergli di salire e con una nuova consapevolezza. Noi l’abbiamo incontrato a Banff e ci ha regalato più di un’emozione in questa chiacchierata che va ben oltre l’alpinismo. Hai chiamato il tuo film “Doing it scared” – vuoi spiegarci la scelta di questo titolo? L’idea che c’è dietro “Doing it scared” è che la paura non si superi mai del tutto, in realtà; se ci pensiamo, tutti gli animali provano paura, è una cosa naturale che fa parte della vita, soprattutto quando accade di fare qualcosa di sfidante, qualsiasi cosa, dal parlare in pubblico all’arrampicare il Totem Pole: una sfida è qualcosa che spaventa. Nel film dici una cosa molto interessante: “Ho fatto la pace con la paura, devo essere amico della paura”. Come gestisci la paura come componente dell’arrampicata? Arrampico da circa 30 anni e ancora mi accorgo che è un’attività per cui tutti provano paura. Tempo fa, dopo l’incidente stavo facendo per la prima volta un tiro da primo. Ero ad Arco di Trento e c’erano 8 metri tra un chiodo e l’altro. Dopo aver arrampicato 6 metri mi sono sentito davvero terrorizzato… ma a un certo punto mi sono calmato, mi sono sentito pervadere da una calma assoluta e sono riuscito a completare i due metri che mi separavano dalla sosta. È stata un’esperienza culminante, una di quelle che potremmo piazzare in cima alla piramide di Maslow... mi sono sentito come può si può sentire un musicista capace di suonare ad alto livello, o come uno sciatore nella neve perfetta… qualcosa che ha a che fare con il perfetto equilibrio tra corpo e ambiente, l’autorealizzazione. Il ritorno al Totem Pole 18 anni dopo l’incidente, era qualcosa che volevi, che hai progettato o che in qualche modo è soltanto successo? È un’idea che credo di aver sempre avuto ma… la tenevo nel retrobottega dell mia mente, perché pensavo fosse impossibile per me arrampicare con un braccio e un piede soltanto. Cinque anni fa, ho iniziato a pensarci seriamente ma ancora non credevo davvero di poterlo fare veramente. Nel 2015 il mio amico John Middendorf, che vive anche lui in Tasmania ed è un grande climber di big wall - ha fatto la prima salita della Grande Torre di Trango - ha escogitato un sistema di carrucole 2 a 1 per aiutarmi in questa impresa, che forse avrebbe funzionato. L'ho sperimentato nel suo giardino, ma sembrava troppo complicato, avevo... troppa attrezzatura davanti alla faccia. Alla fine, ho optato per un semplice sistema 1 a 1, con una sola gamba ed un braccio e ho capito che forse avrei potuto arrampicare per 65 metri ma mi sembrava comunque impossibile e ho abbandonato l’idea, anche se in fondo ho sempre voluto tornare. Non si trattava di affrontare i miei demoni, niente del genere, ma volevo tornare nel luogo in cui si è verificato questo incidente, una cosa che ha cambiato la mia vita in maniera molto profonda. Tornando in quel luogo, hai trovato quello che ti aspettavi? Mi emoziona molto parlare di questo ma… posso dire che mi sono sempre confrontato con le mie paure ed è stato fantastico tornare lì, è stato un altro passo lungo il percorso che ho iniziato dal giorno dell’incidente. Di certo il fatto di essere tornato non mette la parola fine a nulla, non intendo fermarmi qui. In realtà, negli ultimi 17 anni, ogni anniversario dell’incidente, camminavo fino al promontorio per vedere il Totem Pole. Il Totem Pole è alto 65 metri e il promontorio 120 metri, quindi dall’alto vedi solo gli ultimi 20 metri. È in una posizione difficilmente accessibile ed è anche molto difficile essere tratti in salvo da lì. Quindi un conto è vederlo dall’alto... un altro è tornarci. Dove hai trovato la forza per sorpassare quello che è successo e ritornare alla vita con un approccio positivo? Ho sempre avuto un approccio positivo alla vita, credo che per essere un climber e un alpinista si debba essere molto “dedicati” e dopo l’incidente ho comunque per prima cosa dovuto accettare quello che mi è successo. Mi ci è voluto uno strano amalgama di passione, accettazione e determinazione. Ad altre persone, naturalmente, sono successi incidenti di questo tipo e mi sono chiesto in effetti perché proprio io sia riuscito ad affrontare tutto questo in questo modo. Credo che abbia a che fare con il mio passato di alpinista. Credo che la montagna mi abbia insegnato a essere determinato al livello necessario. Tu spesso parli del tuo incidente come la cosa migliore che ti sia mai capitata nella vita, come una grande lezione vuoi dirci qualcosa a riguardo? Credo che l’insegnamento più importante sia l’aver imparato ad accettare, ho dovuto accettare tutto quello che mi è successo, come dico nel film, ho dovuto lasciare che questa cosa mi passasse sopra ma senza in qualche modo intaccarmi. Nel 2011 sono andato in Tibet, per arrivare a vedere l’Everest in bici e là ho parlato con alcuni monaci; mi sono accorto che il mio modo di pensare è molto vicino al buddismo e questa cosa mi ha sorpreso perché prima dell’incidente non mi ero mai reso conto. Un’altra cosa che dici nel film è che le persone disabili non sono persone inabili… Sì, la società mette barriere di fronte a chi è disabile perché abituata a vivere velocemente, ma da quando sono costretto a muovermi con lentezza, noto una miriade di cose che prima non vedevo. Sono diventato bravo a distinguere il carattere delle persone, credo, e credo di aver imparato che con il giusto livello di aiuto tutti possano riuscire a fare cose sorprendenti. Nel mio caso, per esempio, io non posso dire di aver scalato il Totem Pole, in realtà mi sono limitato a salire lungo la corda, ma la corda è stata il mio supporto. Se invece di competere gli uni contro gli altri ci aiutassimo reciprocamente, trovassimo il modo di essere l'uno il supporto per l’altro, tutti faremmo cose meravigliose. Altre montagne che hai amato? Amo molto la Patagonia. Ho scalato la torre centrale del Paine ed è stato un momento importantissimo della mia vita, era la mia prima big wall e ci vollero settimana a scalarla. Non usammo il trapano per mettere chiodi perché… penso che sia stato molto pericoloso ma… è così che andò e fu una fantastica arrampicata. Mi sono sempre sentito attratto dalle grande pareti, sono le arrampicate che ho amato di più. In un’altra intervista hai detto che una volta che hai sperimentato la libertà che ti dà un tiro difficile, non puoi più farne a meno. È come aprire una porta su un nuovo mondo? O alla fine questa libertà diventa una specie di schiavitù? Penso quello che ti offre l’arrampicata sia soprattutto l’opportunità di essere completamente presente al momento in cui vivi. È una cosa che ho imparato con l’esperienza, per esempio, se penso a quello che mi è accaduto ad Arco… Quando ti spaventi veramente, e capisci che se fai un errore puoi anche morire, devi essere solo lì dove sei, completamente consapevole di ciò che stai facendo. Essere schiavi o dipendenti dall’arrampicata è come essere dipendenti da qualsiasi altra cosa, e ho sempre cercato di non diventare schiavo di nulla. Forse è una questione di personalità, o forse sono solo fortunato. Sono sempre stato interessato all’arrampicata e alla ricerca di nuove vie, ma oggi per me arrampicare è un gesto che provoca dolore, non lo faccio spesso, lo faccio per la sfida, è sempre bello mettersi alla prova ma oggi sono più portato ad andare in bici. Che cosa ti rende felice? Scrivere, andare in bicicletta ed essere genitore, ho due figli anzi tre, da due donne diverse ed è una situazione molto variabile, a volte siamo in due in casa e poi ci ritroviamo in cinque, ho una famiglia molto dinamica e sono alle prese con due adolescenti, non mi annoio mai.        

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