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Emily Harrington: dall’arrampicata indoor al monte Everest

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[caption id="attachment_19626" align="aligncenter" width="800"]emily2 screenshot da "Letting go"[/caption]   L'articolo che segue è stato tradotto e adattato da Cosmpolitan.com  Cresciuta in una famiglia di sportivi in un luogo che è la mecca delle attività outdoor –  Boulder, Colorado – Emily Harrington ha sempre avuto nel sangue il gusto per la competizione e l'attività fisica. Emily è un'ottima ginnasta, un'eccellente sciatrice e una brava giocatrice di calcio. Ma è stato quando a 10 anni per la prima ha volta ha scalato una parete che ha scoperto la sua vera vocazione.   Emily Harrington è entrata molto giovane nell'USA Climbing Team, ha vinto cinque volte l'U.S. National Sport Climbing Championship e due volte il North American Championship. Da quando si è dedicata all'arrampicata outdoor ha iniziato a girare il mondo  — Australia, Cina, Marocco — e a mettersi alla prova in alcuni tra i luoghi più incredibil del pianeta — dall'Ama Dablam in Nepal a El Capitan a Yosemite fino all'Everest. A soli 29 anni, Emily Harrington è una delle arrampicatrici di maggior successo a livello mondiale. 
Ecco il suo pensiero su che cosa significhi per lei scalare le montagne per professione e come ha trasformato l'accettazione del fallimento in una delle sue più importanti risorse.
Sono cresciuta a Boulder, Colorado, dove pressoché tutti fanno almeno un'attività outdoor. Ho iniziato a sciare quando avevo due anni. Ero una ginnasta, giocavo a calcio, danzavo. I miei genitori mi lasciavano fare tutto quello che volevo e mi hanno sempre incoraggiata a esplorare il mondo. Quando avevo circa dieci anni, sono andata con loro a un festival outdoor e c'era una di quelle pareti artificiali. Ricordo di aver guardato i ragazzi arrampicare e di aver pensato "Questo è quello che voglio fare". Ricordo di aver sentito una particolare attrazione per quel tipo di movimento e per la sensazione di elevarsi dal terreno. Dissi a mio padre: "Questo è quello che voglio fare. Andiamo domani?" Mio padre, che è sempre stato uno dei miei più grandi sostenitori, ne fu molto felice. Abbiamo iniziato le lezioni di arrampicata insieme. Pochi mesi dopo, sono entrata a far parte di una squadra locale juniores e sono entrata nel circuito agonistico giovanile. (...) Al liceo, ho iniziato a ottenere le prime sponsorizzazioni (sponsor locali e aziende di materiale sportivo). Mi pagavano con i prodotti. Avevo un coach che era sponsorizzato da La Sportiva e fece di tutto affinché lo fossi anche io. Così iniziai con qualche paio di scarpe, ma man mano che crescevo e che iniziavo a diventare famosa, iniziai a ricevere vere e proprie sponsorizzazioni e mi sono sentita molto gratificata per questo. Ho iniziato ad arrampicare outdoor a circa 14 anni (...). Mi sembrava un nuovo modo per migliorare le mie capacità di arrampicata. È molto diverso dalla palestra, perché per salire bisogna capire la roccia e cercare una soluzione che sia la tua personale.  (...) L'arrampicata per me è stata anche un mezzo straordinario per viaggiare e conoscere il mondo. In realtà avevo un'idea diversa per il mio futuro. Ho studiato affari internazionali, specializzandomi nella politica dell'Africa Sub-Sahariana. Volevo occuparmi di diritti umani a livello internazionale. Mi sono laureata nel 2007 ed fu allora che mi venne proposto di entrare a far parte del team internazionale di The North Face. C'erano climber, sciatori, ultrarunner e altri atleti. Noi siamo parte del loro marketing e in cambio possiamo dedicarci al nostro sport, spingendoci ai massimi livelli. MI sembrò un'opportunità unica per capire se sarei stata in grado di diventare una climber professionista e decisi di non proseguire gli studi. (...) Era il 2008 e sono ancora nel Team North Face. Quando ho iniziato guadagnavo meno di ventimila dollari l'anno ma avevo la fortuna di non dover ripagare prestiti di studio e potevo contare sull'aiuto dei miei genitori. Vivevo in un appartamento a Boulder che costava circa 400 dollari al mese. Andando avanti, ho avuto più sponsor, e nuove opportunità di guadagno come conferenze o altri impegni sportivi e oggi guadagno abbastanza da poter essere autonoma. The North Face lavora molto sul coinvolgimento della community sui social media, sul marketing e sul networking. Lavoro insieme a un manager con cui ogni anno decido i miei obiettivi. Gli atleti hanno parte attiva nel processo di ricerca e sviluppo dei prodotti: parliamo con i progettisti e con i designer di quello che ci piace e di quello che non ci piace.  (...) La cosa bella è che non si tratta solo di decidere di fare qualcosa di molto difficile o pericoloso. Si può diventare influencer, storyteller, e questo ci permette anche di pensare a un futuro professionale più lungo (...) i nostri corpi non saranno sempre così come sono adesso. Ho scalato l'Everest nel 2012 ed è stato il mio battesimo con le grandi montagne. Ricordo la sensazione di non avere il controllo di nulla. Il fatto di riuscire a salire una montagna come quella è solo un dono. Dopo quella spedizione, una delle donne che erano parte del nostro team ebbe la folle idea di scalare una cima remota in Myanmar (Birmania), un Paese che per anni è rimasto isolato dal resto del mondo. Là molte montagne non sono state salite, ci abbiamo messo due mesi per raggiungerle. Abbiamo viaggiato in barca, in treno, su un autobus di notte, e in moto per 80 miglia nella giungla. Poi abbiamo camminato dal livello del mare a 4000 metri di altezza. C'erano ragni e serpenti ed era un luogo incredibilmente remoto. Ero spaventata e decisamente fuori dalla mia zona di comfort. La montagna che abbiamo tentato di scalare era alta 5800 metri ed è stato un completo fallimento. Abbiamo esaurito il cibo e siamo dovuti tornare indietro. Sopporto molto meglio i fallimenti di quanto non riuscissi a fare in passato. Penso che sia proprio merito di queste esperienze, dove non ho il pieno controllo della situazione e il mio successo e il mio fallimento non dipendono completamente da me. Non si tratta di essere la migliore o la più forte quando sei su certe montagne, sono loro a decidere se avrai successo o meno. Il 2015 per me è l'anno "senza cima" perché non ho raggiunto nessuna vetta. Ho mancato almeno tre cime e diversi obiettivi e ogni volta è stato perché sentivo che il rischio era troppo elevato. Non è importante salire in cima. L'importante è venirne fuori ed essere ancora qui. Il successo tradizionalmente è il senso di aver portato a termine qualcosa ma penso che gli insegnamenti più importanti nella vita ci arrivino dai fallimenti.

La gente mi chiede sempre, "Perché fai questo? Che senso ha?" Quando arrampico è il momento in cui mi sento più viva, in cui mi sento più connessa al mio ambiente e alle persone intorno a me, è come se mi trovassi in un posto migliore. È l'unico modo che conosco di vivere la mia vita e spero di poter essere di stimolo alle persone. Spero di trasmettere la voglia di andare nella natura e fare qualcosa che per loro abbia un senso. Questo è ciò di cui il mondo ha bisogno: persone che abbiano voglia di fare cose interessanti e di condividerle.

 

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